LA FIGLIA DELLA LUNA
Tre
giorni al solstizio, Navija
All’ultimo piano della grande casa bianca, le
noviziali dormivano in un’austera camerata rettangolare. Letti a castello a
destra e a sinistra di uno stretto corridoio che correva dalla porta di abete
fino alla finestra sulla piazza del villaggio, oltre cui si intravedeva il
profilo frastagliato della taiga. Immaginando di camminare in punta di piedi
per la stanza, si potrebbero sentire i sospiri leggeri delle ragazze
addormentate, come splendidi angeli fatti di sogni.
Nell’immobilità più assoluta, gli occhi smeraldo di
Anya erano spalancati e fissavano le travi di legno del soffitto. Per quanto ci
provasse, non riusciva proprio a prendere sonno. Continuava a ripetersi che
mancavano solo tre notti al Solstizio, e si interrogava su come sarebbe
cambiata la sua vita quando avrebbe lasciato cadere il velo da noviziale e
abbandonato per sempre la casa bianca delle consorelle.
“Mancano solo tre notti” si ripeteva mentre
tamburellava con le dita sul materasso.
Incrociò le braccia sul petto e lasciò che il fiume
delle sue fantasie la travolgesse, cullandola tra note di paura e brividi di
curiosità. Si scoprì addentrasi in pensieri che avrebbero fatto arrossire e
sghignazzare le altre ragazze, ma che lei riusciva a sentire come elettricità
nell’aria, come quando il cielo minaccia tempesta. Era per via di quei pensieri
che non riusciva a dormire. Era impaziente di nascere nuovamente, come donna.
Con un leggero fruscio del lenzuolo, Anya si alzò a
sedere e,muovendosi adagio, scese dalla scaletta del letto a castello. Si sentì
rabbrividire quando i piedi scalzi toccarono la superficie gelida del
pavimento. Attenta a non inciampare nel buio si mosse a piccoli passi verso la
finestrae, sospirando, si affacciò sulla piazza buia e deserta.
Al chiarore della luna crescente,il velo bianco le
scendeva lungo i fianchi come bruma su un paesaggio collinare, mentre La brezza
frizzante di giugno accarezzava le onde di capelli neri. Anya piegò la testa di
lato e sulle labbra si disegnò l’ombra di un sorriso nervoso.
Stava per succedere davvero. Al Solstizio avrebbe
donato la sua verginità agli spiriti antichi. Era certa che la Dea l’avrebbe
favorita, permettendole di ricevere dentro di sé una nuova figlia della luna,
come era accaduto a sua madre prima di lei e come succedeva alla sua linea di
sangue da quattro generazioni. Al solo pensiero si sentiva avvampare, le guance
bianco-latte si coloravano di scarlatto e lo stomaco si annodava su sé stesso.
Mentre la mano giocherellava inconsciamente con una
ciocca di capelli, Anya pensava a quanto sarebbe stato bello avere qualcuno con
cui parlare. Non che le mancassero le possibilità di fare amicizia, dato che
era costantemente circondata dalle sue consorelle, ma leggerezza con cui le
altre ragazze si avvicinavano al Solstizio la irritava parecchio; erano tutte a
ridacchiare e fare battutine, immaginando i ragazzi che avrebbero incontrato
per la prima volta e con cui per la prima avrebbero trascorso la notte. Nessuna
sembrava invece pensare al significato di quel rito, ben lontane dal rendersi
conto della forza che stavano per sperimentare e di quanto profondamente
sarebbero cambiate.
Continuava a chiedersi come sarebbe stato essere una
come le altre. Come Elinore ad esempio, una ragazza con l’intelligenza di una
gallina che dopo il solstizio avrebbe probabilmente vissuto una vita ordinaria
lavorando nei campi, o magari facendo la bambinaia o la donna di servizio. Al
tramonto si sarebbe seduta con le altre comari sulle panche della grande
piazza, scambiando pettegolezzi e parlando del più e del meno.
Intanto, una nuvola passò davanti alla luna, scurendo
il cielo ma accendendo le stelle, come diamanti sparpagliati su un telo nero.
Anya si lasciò andare all’ennesimo sospiro: era inutile, le altre erano troppo
stupide per intuire come si sentisse, erano solo ingenue comparse di un teatro
in cui lei era l’unica protagonista.
Forse, la solitudine era solo un piccolo prezzo da
pagare il dono che aveva ricevuto. Non era un caso se la Dea avesse scelto
proprio lei, indirizzando i sui passi verso un destino più alto di tutte le
altre.
Erano passati sette anni da quando aveva scoperto la
magia della luna dentro di sé. Per tutti gli Spiriti, era solo una bambina! Si
domandò per l’ennesima volta come fosse riuscita a convivere con i ricordi di
quella notte, senza farne parola ad anima viva, nascondendo il suo segreto
nelle segrete della sua anima.
Forse era per colpa del peso che si trascinava dietro
che non riusciva mai a prendere sonno, che non stringeva amicizia con nessuna
delle consorelle e passava ore persa nel labirinto dei suoi pensieri.
Però, per qualche motivo, non poteva dimenticare
nulla. Anzi, ogni tanto aveva voglia di tornare a rivivere quelle ore che
l’avevano cambiata per sempre. Seppur dolorosi, erano i momenti che l’avevano
resa speciale. E lei adorava essere speciale.
La brezza si fece più insistente, soffiando come un
gatto pronto a saltare sulla sua preda. Mentre la pelle d’oca si drizzava sulle
sue braccia, Anya chiuse gli occhi e si lasciò andare ai suoi ricordi
maledetti.
Ecco materializzarsi
una versione bambina di Anya in una classe della casa-scuola. Aria viziata,
listelli di legno che rivestivano le quattro pareti, una lavagna imbrattata di
gesso e una finestra che affacciava sulla piazza. Le bambine, che indossavano
vestitini grigi e calzettoni di lana fino alle ginocchia, stavano composte
sulle sedie disposte a semicerchio. Al centro Madama Corinne, la sadica
bambinaia dai capelli grigi e dai denti gialli, lanciava ammonizioni
gesticolando vistosamente. “Le anime degli innocenti non devono essere
corrotte.” Ripeteva la vecchia. “Quindi resterete nelle vostre stanze per tutta
la notte del Solstizio, o vi servirà un lungo percorso di purificazione.” Un
ghigno sghembo si disegnava sulle sue labbra sottili, come se stesse
pregustando il piacere di applicare sulle bambine la sua idea di “purificazione”.
Le compagne di Anya sapevano che non era il caso di scherzare con Madama
Corinne, che già diverse volte aveva punito le disobbedienti colpendole con una
bacchetta di legno sulla testa o, nei casi più gravi, obbligandole a tenere in
mano un tizzone di brace ardente.
Mentre tutte le sue
compagne tenevano lo sguardo basso, sul viso della piccola Anya era dipinto uno
sguardo di sfida, animato da una infinita curiosità di bambina e da una buona
dose di spavalderia. Era determinata a non lasciarsi intimorire da quella
vecchia arpia: più la vecchia strega distribuiva minacce, più nella testa di
Anya prendeva corpo la voglia di prendersi beffa di tutti i divieti e di
trovare un modo per guardare con i suoi occhi la celebrazione del Solstizio.
Ripensando a sé stessa da bambina, sentiva il cuore
sciogliersi, era una peste: testarda, risoluta e sempre pronta a lanciarsi in
nuove avventure. Sarebbe stato bello rimanere così spensierata, senza sentirsi
schiacciata dalla propria ombra. Strinse più forte le palpebre e tornò nella
galleria dei ricordi.
Era stato facile
convincere quella stupida di Elinore a farle da spalla nell’impresa; d’altro
canto, con il visino da angioletto e la battuta pronta, Anya era molto popolare
nella casa-scuola e le altre bambine facevano a gara per attirarsi le sue
attenzioni. Come tutte, anche Elinore era terrorizzata da Madama Corinne, ma
non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di accreditarsi come migliore amica
di Anya, quindi ingoiò la paura e accettò di partecipare.
Il piano prevedeva una
lunga preparazione,che era iniziata durante l’inverno, quando il bianco e il
gelo non danno tregua e le giornate trascorrevano lente tra lezioni e momenti
di gioco. Anya aveva chiesto a Elinore di rubare qualcosa che le aiutasse a
scavare un buco nel legno ed Elionore, da brava complice, aveva eseguito:
durante una cena aveva nascosto un coltello tra la sua nuvola di ricci. Il
coltello era sporco di marmellata e le erano rimasti i capelli appiccicosi per
due settimane, ma poco importava.
Da quel giorno, le due
bambine avevano sfruttato ogni momento per correre in soffitta e iniziare,
pazientemente, a intaccare la parete di tronchi. Era principalmente Elinore che
scavava, mentre Anya le restava accanto a raccomandandosi che il lavoro fosse fatto
per bene. Centimetro dopo centimetro, si arrivò a realizzare un piccolo foro,
ma adeguato per offrire un’ottima vista sullo spiazzo davanti alla casa bianca
delle noviziali e a quella nera dei novizi.
I mesi passavano e il
bianco lasciava spazio al verde, le giornate si allungavano e la vita del
villaggio usciva pian piano dal torpore dell’inverno. Le settimane prima del
Solstizio sembravano non passare mai; nel villaggio si avvertiva sempre più
forte il fermento per la notte più importante dell’anno,tanto che anche nella
casa-scuola i bambini diventavano più agitati e le bambinaie più ansiose e
severe.
Alla fine,la notte era arrivata.
Madama Corinne aveva controllato che tutte le bambine fossero a letto, ripetuto
due volte l’appello, verificato che ogni finestra fosse sbarrata e chiuso la
porta.
Nel suo letto, Elinore
tremava come una foglia: “non ce la faccio Anya, ho paura!”.
Anya sbuffava, aveva
incrociato le braccia sul petto e lanciato uno sguardo assassino: “lo sai che
non ti parlerò mai più se mi lasci da sola adesso?” Batteva il piede sul
pavimento di legno con fare impaziente, aspettando che quella fifona si
decidesse a muoversi.
Elinorea quel punto
aveva iniziato a singhiozzare sommessamente e di tanto in tanto provava a balbettare
qualcosa che Anya non capiva: “paura… non voglio… ti prego!”.
Anya si sentiva
ribollire per la rabbia: “Stai zitta, stupida! Ci farai scoprire!”.Per tutta
risposta Elinore si era coperta il viso con il cuscino e si era girata
dall’altra parte. Per la prima volta Anya era sola, ma non avrebbe rinunciato,
questo era poco ma sicuro, solo che adesso iniziava anche lei ad essere
terrorizzata.
A questo punto i ricordi procedevano come al
rallentatore, ogni frammento di memoria rimaneva nitido, incredibilmente a
fuoco. Anya strinse più forte una ciocca di capelli tra le dita, quasi
facendosi male. Gli attimi che stava per disseppellire erano stati la sua metamorfosi,
dalla crisalide dell’infanzia alle ali arcobaleno della vita reale.
La piccola Anya si
asciuga le mani sudate sul vestito, deglutisce e con esasperante lentezza gira
la maniglia, socchiude la porta e esce in punta di piedi dalla camerata.
Nei giorni precedenti
aveva studiato ogni centimetro della scala di legno, per individuare i punti in
cui poggiare i piedi per ridurre al minimo i cigolii. Nonostante questo,
impiega dieci minuti buoni per salire i dodici gradini che conducevano alla
sala comune, da lì poi c’era la scala a pioli che portava alla soffitta e al
suo nascondiglio.
Un passo dopo l’altro.
Quando si affaccia alla
porta, il cuore le esplode nel petto. Madama Corinne è distesa sul divano di
fronte al camino, immobile nella sala rischiarata solo dal bagliore rossiccio
delle braci quasi spente.
Anya resta ferma, le
tempie iniziano a pulsare come poco prima di una crisi di pianto. Nulla si
muove, il silenzio è così assoluto da far male alle orecchie.
Poi sovviene un leggero
gracchiare, simile al gracidio delle rane nello stagno. Anya avanza di qualche
passo e si accorge che la strega sta russando sommessamente.
Le labbra della bambina
si distendono in un sorrisino maligno, è quasi tentata di improvvisare un
balletto per canzonare la vecchia ma riprende subito consapevolezza del rischio
che sta correndo e, a passi misurati e cauti, si allontana. È agile come un
gatto nell’arrampicarsi sulla scala a pioli, fino alla soffitta.
Nella camerata delle noviziali, Anya riaprì gli occhi,
interrompendo momentaneamente il flusso dei suoi ricordi. Oltre la linea
frastagliata del bosco la luna quasi piena continua a brillare nella sua
sprezzante indifferenza. Anya e scuote leggermente la testa, cercando di
calmare il respiro che si stava facendo affannato, come sempre quando la mente
torna indietro a quella notte. E pensare che sarebbe potuta rimanere solo la
bravata di una ragazzina... Quando il suo respiro tornò regolare Anya chiuse di
nuovo gli occhi tornando nel passato.
La soffitta della
casa-scuola puzza di muffa e legno marcio. Raggiunto il nascondiglio, l’Anya
bambina si siede per terra con la schiena al muro, ansimando. Ci mette un po’
per smettere di tremare. Rimane in ascolto, ma nessun rumore arriva dal piano
di sotto. Ce l’ha fatta davvero. È ancora seduta al buio, quando iniziano a
suonare i tamburi. Un ritmo lento e cupo, che rompe il silenzio della notte.
Tum, tum, tum, tum.
Poco a destra dello
scaffale, una freccia di luce argentata filtrava dal piccolo spioncino scavato
nel legno. Anya vi scivola accanto, si acquatta e si mette a guardare.
Per lei è come entrare
in un sogno.
Un falò ardeva nello
spiazzo tra la casa bianca e la casa nera. poco vicino era costruita una specie
di altare di legno, adornato tutt’attorno con foglie di betulla e larice. Al
centro dell’altare era dipinto un simbolo rosso: due quarti di luna, uno
rivolto verso sinistra e uno verso destra, come a darsi si la schiena l’un
l’altro. La runa di Noorja, madre della luna e Dea della vita e della
fertilità.
Lo sciamano era una
figura imponente dietro l’altare. Testa completamente calva, volto glabro
dipinto di nero, una pelle d’orso sulle ampie spalle. Al collo portava una
lunga collana di corda intrecciata, che terminava con un pendaglio a cui era
appeso il teschio di un coniglio. Armeggiava con qualcosa che Anya non riusciva
a identificare chiaramente, forse uno scettro o un lungo coltello. Ai suoi lati
due uomini suonavano gli immensi tamburi. Anche i loro volti erano dipinti di
nero, erano a torso nudo, ricoperti di tatuaggi e indossavano mantellirossi.
Tum, tum, tum, tum.
Tutt’attorno si
accalcavano gli abitanti del villaggio, alcuni battevano le mani a tempo con i
tamburi, altri ballavano e gridavano. Lungo il viale principale, che conduceva
dal falò fino alle sponde del lago, ogni finestra era illuminava e da ogni
davanzale sventolavano fazzoletti rossi.
Lo sciamano alza le
mani e la folla d’improvviso ammutolisce, solo i tamburi continuano a battere
il loro ritmo incessante.“Qualcosa di magico sta per succedere.” Pensa tra sé
l’Anya bambina. Lo sciamano parla alla folla, facendo ampi gesti con le
braccia. Dal suo nascondiglio Anya non riesce a sentire nulla, ma percepisce
una tensione crescente.
Ecco che lo sciamano
volge le spalle alla folla, rivolgendosi verso il falò come a parlare con le
creature danzanti che abitano nelle fiamme. I tamburi accelerano il loro ritmo.
Tu-Tum, tu-tum, tu-tum.
Dalla folla si stacca
un vecchio, che zoppicando si avvicina all’altare e allo sciamano. Anya crede
di riconoscerlo come uno dei contadini che lavoravano la terra a est del lago,
le sembra essere l’uomo che una volta le aveva donato una manciata di frutti di
bosco in cambio di un sorriso… sì dovrebbe essere proprio lui: i capelli
bianchi scompigliati e il fisico rinsecchito incurvato dall’età e dalla dura
vita di campagna. Ad Anya aveva sempre ispirato simpatia, se non sorrideva con
la bocca lo faceva con gli occhi grandi e ingenui.
Il contadino barcolla e
qualcuno tra la folla lo aiuta a restare in piedi. Si muove in modo incerto,
come se fosse ubriaco.
Quando arriva a un paio
di passi allo sciamano, il vecchio si inginocchia. Allarga le braccia e alza il
mento, come a voler fissare un punto imprecisato nel cielo. Lo sciamano, con le
spalle larghe e l’ampio torace, è come una montagna che incombe su di lui.
Quando lo sciamano alza
un braccio, il ritmo dei tamburi si interrompe bruscamente e con esso anche il
chiasso della folla. La piazza viene coperta da un improvviso velo di silenzio.
Poi la voce dello
sciamano risuona potente e cupa come un concerto di tuoni. Non sta parlando la
lingua di Navija, ma quella degli spiriti e degli dei: suoni duri e gutturali
che spaventano terribilmente la piccola Anya.
Le invocazioni dello
sciamano proseguono per un paio di minuti, accompagnati da una gestualità
misurata e solenne, con le braccia che prima si alzano verso il cielo, poi si
allargano come ad abbracciare la folla. La mano destra dello sciamano
continuano a stringere l’oggetto che prima Anya non riusciva a vedere. Si tratta
di una falce, ma più piccola di quella che si usa per lavorare nei campi.
La voce dello sciamano
si fa più forte e dura quando giunge al termine delle sue invocazioni. Poi
sembra rivolgere una domanda alla folla e tutte le persone nella piazza alzano
il braccio destro, indicando il vecchio che per tutto il tempo è rimasto
immobile, in ginocchio con le braccia allargate e lo sguardo rivolto al cielo.
Un istante ancora di
silenzio. Poi lo sciamano disegna con la falce un semicerchio nell’aria e
colpisce il collo del vecchio con la forza di cento uomini. Un rosso zampillo e
l’uomo si accascia su un lato. Un lago di sangue si disegna sul selciato.
Anya si lascia scappare
un sommesso singulto e con grande difficoltà ricaccia in gola il grido che le
stava nascendo dalle viscere. Aveva visto uccidere una capra una volta e spesso
le era capitato di vedere le vecchie contadine che torcevano il collo a una
gallina. Ma non aveva mai assistito alla morte di un uomo. È sconvolta,
sconcertata. “Forse non è reale” dice tra sé
“forse basta stringere forte le palpebre per svegliarmi da questo
incubo”.
Ma il suono dei
tamburi, che ora riprende più forte, la porta di nuovo alla realtà. Non è un
sogno. Quel vecchio contadino dal sorriso ingenuo semplicemente non esiste più,
è andato con gli dei ormai. Nel suo cuore Anya recita una litania di preghiera
per il suo spirito.
Tre uomini si
avvicinano al cadavere. Uno di loro raccoglie il sangue in un corno di capra
che poi porge con riverenza allo sciamano, poi gli altri due uomini sollevano
il corpo senza vita e lo gettano nelle fiamme del falò.
La folla sulla piazza
ha ripreso a urlare e a ballare al ritmo dei tamburi. Alcuni sollevano le
braccia al cielo, altri agitano la testa come se fossero posseduti da una forza
invisibile.
Poi accade qualcosa di
ancora più incredibile.
Gli occhi della Anya
bambina si spalancano per la meraviglia e terrore quando il falò diviene più
brillante, il colore delle fiamme passa dal rosso al dorato. Ora la piramide
incandescente supera in altezza tetto delle case.
Mentre dalle finestre
continuano a sventolare con maggiore veemenza centinaia di fazzoletti rossi,
nel cielo si accendono aurore di luce, dapprima come leggere sfumature verde
brillante che danzano sopra la linea dell’orizzonte, poi crescendo di intensità
e passando all’indaco e all’amaranto. Indifferente a questo scenario surreale,
la luna piena continua a volgere la faccia tonda e bianca verso il villaggio.
Incantata dalle luci
che danzano nel cielo, Anya quasi non si accorge che nelle due case, quella
bianca e quella nera, le porte sono state spalancate tra le ovazioni della
folla accalcata dall’altra parte della piazza.
Escono prima i novizi
dalla casa nera. Avanzano in fila indiana lanciando occhiate fulminee a destra
e sinistra, visibilmente su di giri. Sono a torso nudo con la parte inferiore
del corpo coperta da un velo rosso, annodato sulla vita e lungo fino a terra.
Sono tutti molto giovani: figure snelle
e allampanate tipiche di chi è appena uscito dall’adolescenza.
La fila si dispone alla
sinistra dell’altare e resta immobile. I ragazzi sono in visibile stato di
tensione, lo si percepisce dalle loro mani che non stanno ferme, dagli sguardi
nervosi, dalle mascelle serrate.
Lo sciamano intanto ha
posato sull’altare la falce che ha usato per il sacrificio e ora ha in mano il
corno riempito con il sangue del vecchio. Si avvicina ad ogni novizio con
incedere lento e cerimonioso, si ferma davanti a ognuno per qualche secondo,
mormora qualche formula sconosciuta, bagna il dito nel corno e disegna sulla
fronte dei ragazzi una
vermiglia falce di
luna.
La piccola Anya guarda
la fila dei novizi con un misto di curiosità e timore. È la prima volta che
vede degli uomini così giovani: nel rispetto delle leggi di Navija, lei è
cresciuta con le altre bambine, rigorosamente separate dai maschi.
Gli sguardi si volgono
ora alla porta della casa bianca, mentre nel cielo le aurore di luce continuano
la loro danza. Sfumature rossastre graffiano il bianco disco lunare.
Anya trattiene il
respiro non appena vede uscire le noviziali. Non ha mai visto creature così
belle. Indossano abiti candidi e freschi, che scendono delicatamente fino a
terra sfiorando con malizia il morbido profilo di una femminilità ancora
acerba. Sembrano quasi fluttuare mentre muovono incerte e timide per sistemarsi
a destra dell’altare, come meravigliosi fantasmi in una notte stregata. Hanno
capelli incredibilmente lunghi, che accarezzano tutta la schiena fino alla
curva dei fianchi, agghindati con corone di fiori bianchi. Anche nei loro
sguardi sfuggenti si indovina una tensione latente, ma mentre i novizi la
sfogano con una gestualità nervosa e impaziente, le noviziali guardano
timidamente per terra, sorridono di sottecchi, arrossiscono e si mordono le
labbra.
“Ora so cosa sentivano quelle
ragazze.” Pensò Anya tornando momentaneamente nel presente. Tra tre giorni
avrebbe vissuto nuovamente quel momento, stavolta in prima persona, e già
sentiva serpeggiare quel senso di smania, eccitazione e inquietudine che secca
le labbra e fa salire un nodo alla gola.
La folla è ammutolita e
la piccola Anya trattiene il respiro mentre l’ombra maestosa dello sciamano
sfila davanti alle noviziali. Una dopo l’altra ricevono il segno rossa della
luna sulla fronte. Nessuna delle ragazze alza lo sguardo durante il rito.
Lo sciamano torna di
fronte all’altare, si volta verso la folla e resta in silenzio, in
contemplazione. Alle sue spalle l’aurora di luci diviene più brillante e i
tamburi scandiscono un ritmo sempre più incalzante.
Tu-tu-tum, tu-tu-tum,
tu-tu-tum.
Dopo qualche infinito
minuto di silenzio, lo sciamano allarga le braccia e si rivolge alla folla,
Anya cerca di ascoltare ma le parole del vecchio orso annegano nel brusio
sempre più alto della folla e nella cupa cadenza dei tamburi.
Poi le mani dello
sciamano si alzano verso il cielo e i novizi lasciano cadere i veli rossi a
terra, rimanendo completamente nudi. Un istante più tardi è il turno delle
noviziali, con gli abiti che si posano per terra come petali di una rosa
bianca.
Sui corpi nudi, le
aurore rosse che infestano il cielo disegnano figure astratte e inquietanti.
Pur nella consapevolezza della propria vulnerabilità, nessun novizio o
noviziale prova a coprire con le mani la propria nudità, continuano a guardarsi
intorno, come golem che devono ancora ricevere il soffio della vita.
Di fronte a quello
spettacolo Anya è sconvolta ma irresistibilmente attratta dal mistero che si
sta svelando davanti ai suoi occhi, la sua mente di bambina cerca di mettere insieme
i pezzi e di dare un senso a quello spettacolo inquietante, ma è come navigare
in un mare di nebbia. Può solo rimanere immobile, gli occhi spalancati e il
respiro strozzato in gola.
La via principale del
villaggio è un carnevale di fazzoletti rossi. Sventolano da ogni finestra, dai
tetti delle case, dalle balconate e ovviamente dalla piazza, dove la ressa
festante ha ripreso a gridare e danzare al ritmo dei tamburi.
L’unico a rimanere
immobile è lo sciamano, le braccia al cielo e lo sguardo assente. Anya si
domanda se sia ancora un uomo o se per qualche sortilegio si sia trasformato in
una statua.
La fiumana di persone
si dispone sui lati della via principale, continuando ad agitare i fazzoletti
rossi. Tra le due ali di folla, la fila delle noviziali e quella dei novizi si
accostano l’una all’altra e iniziano ad avanzare fianco a fianco, lungo la via
principale, dirigendosi verso il lago, dove resteranno per tutta la notte.
Durante la processione,
Anya ha il tempo di notare che i ragazzi
spostano gli occhi da una noviziale all’altra, lanciando sbirciate impertinenti.
Le ragazze invece continuano ad arrossire e a tenere la testa bassa, di tanto
in tanto qualcuna si azzarda di incrociare lo sguardo di uno dei novizi,
ricambiandolo con un sorriso timido e malizioso.
Nelle chiacchiere che
circolavano nella casa scuola, Anya aveva sentito dire che, per tutta la notte,
novizio e noviziale avrebbero giaciuto l’uno accanto all’altro prima volta. Non
capiva bene cosa significasse, ma quando aveva provato a chiedere riceveva
risposte incomprensibili, come che uomini e donne “si uniranno divenendo una
sola carne” o che “le noviziali avrebbero accolto il dono della vita dai
novizi”. L’unica cosa di cui era certa è che, se gli spiriti l’avessero
concesso, da quella notte sarebbero nate altre figlie della luna. Lei stessa
era stata “concepita” (un altro termine che non capiva) durante una notte del
Solstizio di molti anni fa. Nel frattempo le luci che danzavano nel cielo
iniziano ad affievolirsi, lasciando spazio alle lucciole del firmamento e allo
sguardo assente della luna piena.
“Sarebbe dovuta finire così.” Pensò amaramente Anya
aprendo gli occhi sul presente. Sarebbe stato tutto perfetto se, dopo aver
digerito quel senso di confusione, paura e smarrimento, la piccola Anya fosse
sgattaiolata via dal suo nascondiglio, dritta nella camerata delle sue compagne
di casa-scuola, dove quella fifona di Elinore già dormiva con le guance umide
per le lacrime. Sarebbe sprofondata sotto la coperta di lana e avrebbe goduto
del senso di invincibilità che pervade ogni bambino dopo una bravata andata a
buon fine. Avrebbe conservato gelosamente dentro di sé le immagini di quella
notte, senza parlarne mai con nessuno. Chissà… forse non avrebbe mai scoperto
di essere maledetta. Forse avrebbe vissuto una vita normale. Invece era
cambiato tutto.
Mentre la fila dei
novizi e delle noviziali spariva dietro la curva verso il lago, un forte
scricchiolio sveglia la piccola Anya dal suo sogno ad occhi aperti. La bambina
resta immobile e smette di respirare. Riconosce chiaramente quel rumore:
qualcuno sta salendo sulla scala a pioli. Scivolando come una serpe, si
appiattisce dietro la vecchia cassettiera. Prega tutti i suoi muscoli di
rimanere immobili. Ha paura che il battito del suo cuore riveli dove si trova.
Ma quello è l’unico rumore che non può controllare.
Un’ombra si affaccia
nella soffitta, Da dove è acquattata Anya riesce a vedere nulla, ma i suoi
sensi sono tesi come quelli di un animale, ascolta ogni cigolio della scala e
la paura diventa quasi palpabile quando riconosce il ticchettare di zoccoli sul
pavimento di legno della soffitta. Gli stessi zoccoli che madama Corinne
calzava instancabilmente tutti i giorni.
Anya azzarda una rapida
occhiata dietro la cassettiera, ma si ritrae immediatamente quando scorge il
profilo della vecchia strega a un metro da lei.
Forse si è mossa troppo
in fretta perché sbatte la schiena su un vecchio cassetto e Corinne si volta di
scatto. Anya stringe i pugni maledicendosi per la troppa foga. La voce roca
della vecchia fa saltare un battito al suo cuore “Bene, bene, una piccola
zanzarina è appena finita nella tela del ragno!” Anya è praticamente un
tutt’uno con la cassettiera. Stringe le braccia al petto e prega la dea della
luna perché la faccia scomparire.
Poi si sente afferrare
per i capelli.
La presa della vecchia
e forte e Anya è solo una bambina. Viene scaraventata contro la parete come un
fuscello durante una bufera.
“chi abbiamo qui?”
Gracchia Corinne avvicinando puntando il dito contro il volto della bambina.
“ma guarda, questa zanzarina è la piccola figlia della luna… ma che sorpresa.”
Anya si ripromette di
non piangere.
“io…” prova a dire, ma
uno schiaffo soffoca le sue parole sul nascere.
“non parlare, stupida
zanzarina” intima madama Corinne. gli occhi iniettati di sangue sono distesi un
una sadica espressione di soddisfazione, i denti gialli digrignati in un riso
demoniaco.
“non devi toccarmi,
brutta strega!” urla Anya reprimendo la voglia di scoppiare in lacrime, ma subito viene investita da un altro
schiaffone, ancora più forte di quello precedente. Sente il sapore del suo
sangue sulla lingua.
“Mi sembra di averti
già detto di non parlare” stavolta la sua voce è più cupa.
Anya non osa più
parlare, con la schiena poggiata alla parete, nasconde la testa tra le braccia
e raccoglie le ginocchia al petto. Corinne è sempre stata severa, ma non aveva
mai visto quella luce assassina nei suoi occhi e non aveva mai sentito una voce
così nera.
Da una piccola sacca di
cuoio che portava a tracolla, Corinne tira fuori una vecchia chiave, “Sai cosa
c’è dentro questa cassettiera?” Domanda agitando la chiave davanti agli occhi
della bambina. “c’è tutto il necessario per farti diventare finalmente a modo”.
Sorride, ma più che un
sorriso è una maschera sadica e terrificante.
Apre uno dei cassetti e
inizia a tirare fuori prima una corda, poi uno straccio, poi una specie di
frusta e infine alcuni piccoli coltelli, simili a quelli che si usano per
scuoiare le lepri. Dispone tutti gli oggetti per terra con una precisione
inquietante, mentre Anya continua ad essere pietrificata contro la parete,
cercando disperatamente trattenere le lacrime e i singhiozzi.
Quando finisce di
sistemare i vari oggetti, Corinne si accarezza il mento con fare soddisfatto,
poi prende la corda e inizia a preparare un cappio.
Anya non fa in tempo a
elaborare l’idea di provare a scappare che, con una velocità stupefacente, la
vecchia le è già addosso. Prima si avventa su di lei con un altro schiaffone,
lasciandola per qualche istante disorientata. Poi, sempre in un baleno,
utilizza il cappio per bloccarle i polsi, fa passare la corda su un anello
fissato in alto alla parete e issando con entrambe le mani, la costringe ad
alzarsi in piedi e assicura la corda a un supporto.
Adesso Anya è contro la
parete, in piedi, con le mani sopra la testa legate all’altezza dei polsi.
Prova a divincolarsi, ma più si muove più il cappio si stringe.
Corinne si allontana di
un passo sfregandosi le mani. Continua a fissarla con i suoi occhi oscuri come
quelli di un corvo.
Anya stringe i denti,
tira su col naso e continua a ripetersi che non piangerà, che sarà forte. Una
parte di sé spera che si tratti solo di un modo per spaventarla.
Corinne si china sui
suoi strumenti di tortura e, dopo essersi soffermata qualche secondo nella
scelta, prende uno dei due coltelli da scuoiatura. Muove ancora un altro passo
verso Anya. Ora è a pochi centimetri da lei. Il suo fiato puzza di cipolle e
alcol.
“bene, bene, iniziamo a
vedere cosa abbiamo qui…”
Mentre Anya cerca
invano di divincolarsi, la vecchia le inizia a far saltare uno per uno i
bottoni della camicetta da notte. Quando si trova scoperta fino all’ombelico,
Anya si accorge di non riuscire più a trattenere le lacrime e i suoi tentativi
di supplicare la vecchia si perdono in una processione di singhiozzi. Sente gli
occhi bruciare per le lacrime che iniziano a scendere copiose.
“Che delusione, piccola
zanzarina nella ragnatela” la schernisce Corinne “credevo che sarebbe stato più
divertente farti piangere.” L’ultimo bottone salta e la camicetta da notte
viene strappata via. Corinne si allontana di un passo, con una smorfia di
soddisfazione guarda la sua vittima.
“Diventerai una bella
noviziale, piccola zanzarina” sogghigna passandosi una viscida lingua nera
sulle labbra screpolate. “cercherò di non lasciarti troppi segni stanotte”.
Anya trema come una
foglia e continua a singhiozzare. Gira la testa verso la parete, cercando
almeno con la mente di scappare da quella soffitta, di volare via oltre la
taiga e dimenticarsi per sempre di quella notte.
Lo sguardo della
bambina cade sul piccolo spioncino scavato nel legno, da cui un raggio di luna
filtra solitario nella soffitta. Si concentra sull’argenteo chiarore di quel
misterioso e solitario astro che veglia sulle figlie di Navija. Poi chiude gli
occhi e ripete dentro di sé l’antica preghiera alla Dea della luna, chiedendo
la grazia di farle superare quella notte.
È in quel momento che
sente qualcosa cambiare.
Prima è un leggero
formicolio al petto, che lei scambia per un effetto collaterale della paura.
Poi però si accorge che quello stesso formicolio inizia ad allargarsi a tutto
il torace, scende lungo le gambe fino alla punta dei piedi e lungo le braccia
fino alle unghie delle mani. Quando sale lungo il collo fino alla punta dei capelli
non è più un semplice formicolio ma sembra come una vertigine. Come quando i
bambini girano forte intorno a sé stessi e poi si fermano d’improvviso
rimanendo scombussolati per un momento.
Anya è costretta a
spalancare gli occhi, ma di fronte a sé non trova più la buia soffitta della
casa-scuola, ma si trova a fissare la faccia tonda e bianca della luna che ora
però non sembra più guardare il mondo
con sprezzo e indifferenza, ma sta guardando proprio lei, Anya, e sembra le
stia chiedendo con dolcezza “figlia mia, cos’è che vuoi?”
“Voglio che quella
strega MUOIA!” grida Anya con tutta la forza di cui è capace. La luna sembra
sorridere, diviene sempre più brillante fino ad accecare Anya con un infinito
bagliore bianco.
Pian piano, il senso di
vertigine inizia a svanire e dal bianco cominciano a delinearsi di nuovo le
forme e i colori. Anya sente battere il cuore all’impazzata e si accorge di
essere nuovamente nella casa-scuola. Solo che adesso madama Corinne non fa più
paura. Adesso la vecchia è distesa sul
pavimento, immobile, con gli occhi spalancati come quelli di un gufo. Le gambe
allargate in una posizione innaturale e una mano stretta al petto come un artiglio.
Alla leggera luce della candela, sembra avere la pelle verde come quella di un
serpente.
Anya non sa spiegarsi
cosa sia successo, ma in quella notte sono accadute talmente tante cose assurde
che non ha senso domandarsi il perché. Potrà farlo domani con calma, o forse
potrà cercare di dimenticare, di tornare ad essere la bambina che era fino a quella
mattina.
Lentamente, lavorando
con entrambi i piedi, si sfila uno dei calzini di lana e, allungandosi più che
può, riesce a trascinare il piccolo coltello di madama Corinne vicino a sé. In
qualche modo, poggiandosi alla parete di legno, riesce a sollevare il coltello
all’altezza delle mani, poi impiega qualche minuto per intaccare la corda e
liberarsi i polsi.
Recuperando la sua
camicetta da notte e coprendosi alla bene e meglio, lancia un ultimo sguardo
disgustato al cadavere di madama Corinne. Poi come un fulmine scende rapida la
scala a chiocciola e torna nella camerata dalle altre bambine per rifugiarsi
sotto le coperte.
Alla finestra della casa bianca, Anya spalanca gli
occhi. Per qualche istante vede attorno a se ancora i contorni di quella vecchia
soffitta, poi realizza di essere tornata al presente, di essere una noviziale
pronta a diventare donna e di essere sopravvissuta a tutti i demoni della sua
infanzia. Si sistema la chioma di capelli neri e respira con piacere l’aria
umida che arriva dalla foresta infinita. La luna le ha donato la capacità di
seminare morte, di uccidere con il solo pensiero, ma per grazia non ha mai
dovuto ancora fare uso di quel dono. Sente però che prima o poi qualcosa in lei
si risveglierà e che potrebbe trovarsi presto a rivivere quella notte.
Sbattendo le ciglia, si trova di nuovo a fissare il
volto della luna, che tra tre giorni sarà nuovamente piena per accompagnare il
suo solstizio. “Grazie madre per avermi salvata” pensa dentro di sé. “Grazie
madre per avermi resa speciale”.
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